Nuvolari, la Targa Florio e la luce gentile di Collesano
Collesano. “Nuvolari ha le mani come artigli, Nuvolari ha un talismano contro i mali, il suo sguardo è di un falco per i figli, i suoi muscoli sono muscoli eccezionali”.
Riportiamo i passaggi fantasiosi e suggestivi di una nota canzone di Lucio Dalla perché di “Nuvolari” e di corse incalzanti e vertiginose il caloroso comune di Collesano è stato negli anni testimone entusiasta e felice ricettacolo.
Fu Vincenzo Florio, nel 1906, a dare vita a quella realtà avvincente e motivo di trepidante aggregazione che è la Targa Florio e a far sì che Collesano ne divenisse una delle tappe di maggiore rilievo.
Basta recarsi al Museo ad essa appositamente dedicato per comprendere quale valore questa storica gara ha assunto nel corso del tempo, per cogliere gli umori e le atmosfere che hanno profondamente segnato i periodi storici che quei piloti tanto osannati hanno via via attraversato, per condividere con gli appassionati di tutti i tempi i sentimenti gioiosi e di eccitante attesa che gli stessi hanno dovuto provare di fronte a quella compagine di nomi gridati e di polvere mangiata, di conquiste sudate e a lungo sognate, di macchine luccicanti e lanciate contro il tempo, e di mani sollevate, ben in vista, al rumore stridente, da dietro una curva, di un possibile grande campione.
Chiaramente Collesano non è identificabile solamente con la Targa Florio, Collesano è un comune tranquillo, dall’aria linda e fresca, pregno di storia e di autentiche opere d’arte, Collesano è un raro monile che, avvolto nel verde involucro del Parco delle Madonie, riflette sui suoi abitanti una luce parca e gentile.
La storia del comune ha origine sulla rocciosa sommità di Monte d’Oro, dove è ancora possibile trovare e ammirare le rovine di un primo insediamento umano che, riconducibile al periodo della dominazione araba della Sicilia, quindi al IX- X sec. d. c., viene ricordato con il nome di Qal’at as-sirat, cioè “Rocca della Strada”, dalle coeve fonti islamiche. In realtà il ritrovamento nell’area medesima di alcuni reperti fittili di epoca greco-romana dimostra che il sito doveva essere conosciuto e abitato già in epoca precedente, ma fu soprattutto in conseguenza dell’influenza araba che acquistò un più preciso e permanente assetto.
Con l’avvento dei Normanni, però, il fiorente centro abitato venne parzialmente distrutto e abbandonato per poi risorgere nella zona in cui attualmente si estende il comune.
A ben guardare nell’affastellarsi di tetti in quella valle inerte e silenziosa ciò che non sfugge agli occhi è sicuramente l’antico Castello, i cui ruderi, una volta fortezza robusta e vanagloriosa, ospitarono, dapprima, nei primi decenni del XII sec., Adelicia di Adernò, alla quale il normanno Ruggero II affidò la guida di Collesano, nel frattempo divenuto il centro di un vasto e ricco feudo, e poi le varie e potenti famiglie che man mano si succedettero al governo, dai Cicala ai Ventimiglia, dai Cardona ai Moncada e così via.
Del suo originario splendore oggi non rimane che un labile riflesso nella nostra fantasia più ardita o, se più ci aggrada, una sua, se pur esatta, riproduzione nella tela della “Sacra Famiglia”, di autore ignoto, datata 1688 e attualmente conservata nella Basilica di San Pietro.
Preceduta da una scenografica scalinata la suddetta Basilica, eretta tra il XV e il XVI sec., è il fiore all’occhiello del comune, encomiabile sposalizio di pregevoli opere d’arte e rifugio mistico per i fedeli.
Numerose sono le bellezze artistiche in essa conservate e degne di nota. Ne sono un esempio, nel presbiterio, gli affreschi con storie dei santi Pietro e Paolo di Gaspare Vazzano, detto lo Zoppo di Gangi, e databili al 1624, o lo splendido tabernacolo in marmo, del 1489, attribuito a Domenico Gagini.
Tuttavia l’opera che più ci ha impressionato è l’enorme Crocifisso ligneo, realizzato nel 1555 da Vincenzo Pernaci e Antonello Sillaro, che dal soffitto a capriate dell’edificio sacro sembra voler predominare con tutta la sua simbolica, e concreta, pesantezza sulle vite di quanti, col naso all’insù, si apprestano, stupiti, a contemplarne la magnificenza.
A questo punto è quasi d’obbligo parlare dell’altra faccia di Collesano quella che riguarda le sue attrattive naturalistiche e più specificatamente culinarie.
A tal proposito siamo andati a trovare Grazia Invidiata, artefice infaticabile e cuore pulsante dell’azienda agricola omonima, un’azienda che negli anni si è distinta per la genuinità e la prelibatezza dei suoi prodotti, assolutamente biologici, tra i quali la Provola delle Madonie, Presidio Slow Food, è sicuramente quello più lodato e richiesto, ma anche perché realtà mirabile di efficienza imprenditoriale e uno dei primi e validi esempi di fattoria didattica.
Grazia Invidiata ci ha subito accolto a braccia aperte e ci ha parlato della storia della sua azienda, di come, giovanissima, dopo aver praticato il lavoro di agronomo per diverse altre aziende del territorio, abbia deciso, nonostante le iniziali difficoltà, di rischiare e di mettere in piedi eccellenza dopo eccellenza il suo futuro.
Fondamentale si è rivelato nella realizzazione di questo ambizioso progetto il sostegno di un giovane albanese, Agron Gryka, che tutt’ora lavora in azienda e che col suo sorriso sincero ci ha accompagnato tra i locali della stessa facendoci comprendere quanto preziosi siano i privilegi provenienti da quella vita fatta di amore per la natura e rispetto per gli animali.
Grazia Invidiata ci è parsa una donna forte, generosa, una donna capace di guardare lontano pur restando in perfetto equilibrio nel presente, una donna che sa bene cosa significa impegnarsi e valorizzare i propri talenti, ma che soprattutto sa credere in quelli dei propri dipendenti di cui ama circondarsi in un clima di reciproca collaborazione e gioiosa integrazione.
Pascoli verdi e balle di fieno costituiscono il paesaggio che abbraccia chi, lasciando l’azienda di Grazia Invidiata, si avvia verso il paese, al principio del quale si trova un accogliente e colorato laboratorio, dove tradizione e creatività, razionalità e istinto, virtuosismo tecnico e voglia di abbandonarsi diventano un tutt’uno e si estrinsecano in una serie di oggetti dalle forme e dalle fantasie più varie e affascinanti.
Il laboratorio di cui parliamo è quello di Giuseppe Manganello, detto joe, ceramista abile e amato, che, dopo aver appreso il mestiere dall’ultimo dei maestri ceramisti di Collesano, Salvatore Iachetta, ha intrapreso questa meravigliosa strada cimentandosi nella creazione di pezzi con caratteristiche proprie e ben distinguibili, espressione perfetta degli antichi segreti e dei motivi del repertorio tradizionale, ma anche di manufatti più propriamente artistici.
Assistere alla produzione e alla lavorazione di questi raffinati oggetti equivale a immergersi nelle esaltanti possibilità della creazione.
La nuda argilla sembra sbocciare come un fiore tra le mani delicate e sicure del suo attento foggiatore.
Passione, concentrazione e tanta dedizione si palesano orgogliose ad ogni tocco garbato lasciandoci pregustare nel divenire della forma l’opera compiuta.
Un altro autore di oggetti unici e legati alla tradizione è Arcangelo Lanza, un fabbro innamorato del proprio mestiere, un gran lavoratore, che a un certo punto ha deciso quasi per scommessa di provare a realizzare campanacci per animali da pascolo, oggetti che oggi in pochi producono ancora artigianalmente. Ma Arcangelo dopo diversi tentativi e accorgimenti è riuscito a dare vita ai suoi campanacci, di cui ci parla con evidente soddisfazione e che attualmente vende anche oltre i confini della Sicilia.
Ci spiega, poi, con quanta precisione questi vadano realizzati, perché è dalla perfetta riuscita dell’oggetto in questione che dipende la qualità del suo caratteristico suono.
E continua affermando che ogni campanaccio è diverso dall’altro, è unico nel suo genere, ed è proprio per questo motivo che gli allevatori non si risparmiano nel momento di dover scegliere quelli più adatti ai propri animali. Ogni animale avrà così il suo personale campanaccio e grazie ad esso e al suo peculiare tintinnio potrà essere riconosciuto e avvistato dal suo padrone.
Infine, vogliamo parlarvi di Pino Valenti, un brillante e simpatico artista, un maestro nell’arte dell’intarsio, un uomo che ha fatto della sua passione per la lavorazione del legno un modo per affrontare la vita, per scoprirla e apprezzarne le meraviglie.
Nelle sue vivaci tarsie e nei suoi mosaici lignei palese è il tentativo dell’autore di guidare l’osservatore ben al di là delle incombenze del mondo reale, riportandolo alle dolci e curiose suggestioni di quando da bambino sapeva riconoscere ed esperire della vita gli aspetti più puri e gioviali.
Ecco che i soggetti dei suoi incantevoli lavori appartengono ora al mondo bizzarro e fascinoso del circo ora a quello fantastico e retto delle favole ora a una dimensione semplicemente straordinaria e giocosa, che potremmo definire quasi onirica.
L’intento dell’artista, però, non è tanto quello di farci evadere dalla realtà quanto quello di farci scorgere di questa un diverso aspetto, un’altra interpretazione possibile.
Non per niente alcune di queste creazioni sono corredate di una frase o di un titolo volti a riportarci con i piedi per terra e a indurci alla riflessione, a farci pensare a quanto di vero ci sia nell’arte e con quanta arte venga fuori la verità.
Si ringraziano per la gentile collaborazione Grazia Invidiata, Giuseppe Manganello, Arcangelo Lanza e Pino Valenti.
Ringraziamo, inoltre, per la cortese collaborazione l’Ufficio turistico-Sportello “Qui Parco” di Collesano.
Fotografie di Genny Ferro e Chris Catanese.
Genny Ferro