Incantevole Gratteri: un luogo pieno di sorprese
Gratteri. Minuto e rannicchiato tra rocce verdi di pini fitti e querce, Gratteri è un amabile e incantevole comune della provincia di Palermo, il cui particolare toponimo deriverebbe da “Cratos” o “Craton”, il nome con cui veniva indicato in origine il locale monte Pizzo di Pilo o, secondo un’altra altrettanto plausibile ipotesi, dalla vicina e similmente denominata Grotta Grattara.
Le prime testimonianze di una probabile presenza umana sul territorio sono riconducibili al periodo compreso tra la tarda età del bronzo e l’età del ferro, mentre le notizie sul nucleo abitato vero e proprio risalgono, come si può facilmente dedurre dai toponimi di alcune località della zona, nonché dalla particolare foggia di certe strutture, al rigoglioso periodo della dominazione araba.
Alla successiva dominazione normanna si devono l’erezione delle abbazie di Sant’Anastasia, adesso impraticabile e appartenente al territorio del vicino comune di Castelbuono, e di San Giorgio, di cui rimangono in piedi solo le antiche vestigia della chiesa, che, recentemente restaurata, è stata sapientemente sottratta a una certa e inevitabile rovina.
Ma fu soprattutto sotto il baronato della famiglia Ventimiglia, in particolare dal XIV secolo in poi, che Gratteri conobbe un periodo di grande espansione.
Alla famiglia Ventimiglia si deve la costruzione, all’inizio del XIV sec., nei pressi dello scomparso castello che un tempo predominava sulle case dei gratteresi, della “Matrice Vecchia”, cosiddetta per distinguerla da quella, attualmente destinata alle funzioni parrocchiali, denominata “Nuova”.
L’edificio, originariamente dedicato a San Michele Arcangelo e sorto molto probabilmente come riadattamento di uno preesistente, custodiva fino a qualche anno fa una straordinaria e rara reliquia. Ci riferiamo alle quattro spine che si presume siano appartenute alla Corona di Cristo e che il normanno Ruggero D’Altavilla portò con sé, a quanto pare, da Gerusalemme al termine della prima Crociata.
Furono i Ventimiglia a stabilirne una più riparata collocazione all’interno della chiesa. Per assicurarsene la salvaguardia si adoperarono, inoltre, affinché venissero realizzati l’urna argentea che le contiene e il pregiato altare in marmo su cui la stessa fu posta.
Sebbene il paese sia devoto principalmente a San Giacomo, il santo patrono, per l’appunto, il culto delle SS. Spine è ancora oggi molto vivo e si esplica, ci spiega Padre Francesco, ogni anno la prima domenica di maggio per mezzo di una solenne processione durante la quale la venerata reliquia viene mostrata e offerta alla pubblica devozione per le vie del paese.
Si dice che la scelta di tale data sia stata determinata da un avvenimento straordinario: una notte del 1400 due forestieri si introdussero furtivamente nella Matrice Vecchia e, indisturbati, si appropriarono delle SS. Spine. Tuttavia, una volta fuori dalla chiesa, poco prima di imboccare la strada che conduce a Collesano, furono sorpresi da un fortissimo e inaspettato vento di scirocco. I due malcapitati, per timore di essere sbattuti in prossimità del vicino dirupo, si buttarono per terra, e, così, sdraiati e immobili, trascorsero l’intera notte. Il giorno dopo era la prima domenica di maggio e i forestieri furono trovati da alcuni contadini, che si accorsero del furto e li costrinsero alla fuga.
Le SS. Spine furono riportate al loro legittimo posto e da quel giorno, non solo la prima domenica di maggio ha luogo una apposita processione, ma, fino a non molto tempo addietro, in caso di calamità naturali, come l’infuriare del vento di scirocco o l’abbattersi della siccità, i gratteresi avevano l’abitudine di esporre le SS. Spine per attirare a sé la misericordia divina e assicurarsene la fine.
Gratteri è un paese, come tanti altri, qui, in Sicilia, che rischia di spopolarsi, ma è anche un luogo pieno di sorprese e, soprattutto, di persone sorprendenti, persone gentili, amorevoli, pronte ad accoglierti nella loro casa e a renderti partecipe della loro vita.
Raggiungere Gratteri equivale a varcare la soglia di un mondo favoloso e incredibilmente ammaliante, la cui antica bellezza, lungi dal risiedere nella memoria di ciò che è stato, è ancora oggi viva e percepibile nei sui vicoli stretti e acciottolati e nei suoi caratteristici slarghi, che, bersaglio prediletto di un sole abbacinante, costituiscono non di rado l’ordito di motivi netti e astratti o, ancora, nel riflesso di una donna che, pensosa e trasognata, pettina alla finestra i suoi lunghi e bianchi capelli, negli anziani che, incuranti dei passanti, giocano a carte a ridosso del corso principale o si intrattengono al bar con i loro ricordi di vite vissute e straordinarie e, ovviamente, nei bambini, pochi purtroppo, ma comunque presenti e capaci di una gioia vivida e genuina.
A Gratteri è ancora possibile assaggiare non poche delizie culinarie realizzate come si faceva una volta, all’antica, sulla base di ricette custodite con amore e orgoglio dai membri delle famiglie che le hanno ereditate e fortunatamente preservate. Propria della tradizione gratterese è sicuramente la “Vastedda”, una specie di pane fritto che può essere preparato nella sua versione sia salata che dolce e che ogni anno il 14 agosto, in occasione della sagra apposita, viene offerto in tutta la sua bontà a chiunque voglia assaporarlo.
Ma quello su cui vogliamo soffermarci è un dolce da forno molto semplice chiamato “Cucchia”, perché, come ci riferisce la signora Maria del Panificio San Giacomo, è composto da due “taralle” che poi vengono “incucchiate”, cioè unite, appunto, e servite generalmente con il gelato.
La signora Maria ci racconta di essere cresciuta letteralmente all’interno del suo panificio e di avere appreso i segreti del mestiere dalla mamma e, poi, una volta mamma lei stessa, di averli tramandati ai propri figli, il cui primo vero pasto sono state le “taralle” bagnate nell’acqua.
Quasi del tutto scomparsi sono, invece, i vecchi lavori artigianali.
Tuttavia, abbiamo avuto il piacere di incontrare e conoscere Giacomo Ilardo, un simpatico costruttore di chitarre che da giovane ha dovuto rinunciare alla sua passione per la musica e che solo di recente, libero da impegni lavorativi, ha potuto riscoprire e coltivare attraverso la realizzazione di questi meravigliosi strumenti, che crea interamente a mano e con legni tipici del luogo.
Infine, appena fuori da Gratteri, nella vicina campagna, vive Giampiero Amato, un giovane come molti altri e nello stesso tempo diverso da molti altri, perché, a differenza dei suoi coetanei, non ha remore nel dirci che ama la Sicilia e non importa quanto questa sia, come canterebbe Modugno, una terra amara, difficile, perché sotto il velo delle asperità e della noncuranza, Giampiero riesce a scorgerne la dolcezza e la mai tramontata bellezza.
Giampiero ci appare come un aitante prestigiatore: non si sa mai cosa può uscire dal suo cilindro nero e lucido.
È un musicista e un cantautore e soprattutto un appassionato sostenitore e continuatore della musica popolare siciliana, ma è anche uno degli ultimi zampognari ancora attivi in Sicilia e uno straordinario interprete di romantiche e languide serenate. Alcuni dei suoi strumenti li costruisce personalmente e chissà che passando per le campagne di Gratteri non possiate un giorno udirne l’armonico e gentile suono, mentre la natura tutta si culla e ne benedice l’opera.
Si ringraziano per la gentile collaborazione Padre Francesco Richiusa, Maria Porcello del Panificio San Giacomo, Giacomo Ilardo e Giampiero Amato.
Fotografie di Genny Ferro e Chris Catanese.
Genny Ferro