Un viaggio alla scoperta della bella e soleggiata Cefalù

Isola Felice – Un tour tra le bellezze della Sicilia

Un viaggio alla scoperta della bella e soleggiata Cefalù

Cefalù. Ci scruta e ci ammicca l’ignoto marinaio del Museo Mandralisca e con quegli occhi fermi e quel sorriso gaudente, quasi a suggerirci la vacuità di qualsivoglia peso all’amo della terrena nostra vita, ci invita e ci invoglia a fermarci nella felice e orgogliosa Cefalù.

Cefalù è orgogliosa, è fiera del proprio mare, del Lavatoio medievale, delle sue strade soleggiate e tanto trafficate, del cibo buono e di tutte quelle straordinarie antichità che le civiltà più varie, passando da lì, le hanno lasciato.
Diverse sono state, infatti, le popolazioni che nel corso dei secoli l’hanno posseduta e caratterizzata.
Il sito era conosciuto e popolato già in epoca preistorica e evidenti segni di un primo e consistente insediamento urbano si possono fare risalire al periodo
compreso tra il IX e il V sec. a. c. Riconducibili al V sec. a. c. sono, per esempio, la cinta muraria, che, ancora per la maggior parte inalterata, delimita il centro storico, e il coevo Tempio di Diana.

Furono i Greci, nel V sec. a. c., ad attribuire alla copiosa località, con probabile riferimento al promontorio che la sovrasta e la contraddistingue, il nome di Kephaloidion, che significa testa, estremità, punta.
Lo stesso nome mantennero i Romani che nel III a. c. la chiamarono Cephaloedium e il cui passaggio è oggi palesemente testimoniato dalla presenza all’interno del centro storico di un tratto di strada che, risalente al I sec. d. c., si conserva praticamente intatto e con tanto di scolo per l’acqua.
Successivamente Cefalù fu soggetta alle dominazioni bizantina, le cui tracce sono visibili soprattutto sulla Rocca, dove i cefaludesi in quel periodo si trasferirono e vissero, e araba, di cui, invece, non rimangono che esigue testimonianze.
Il periodo di maggiore splendore fu quello determinato dall’arrivo dei Normanni, che portarono nella già ridente cittadina nuova luce e prosperità e il cui insediamento si è concretato in una serie di monumenti, tra i quali degno di nota è sicuramente il massiccio e visitatissimo Duomo.
Il Duomo, intitolato al Santissimo Salvatore, fu eretto, secondo la leggenda, da Ruggero II d’Altavilla nel 1131 in seguito a un voto che lo stesso decise di onorare quando, scampato ad una tempesta, approdò sulle spiagge di Cefalù sano e salvo.
Serrato tra due inconfondibili torri, il Duomo è una mescolanza degli stili arabo e normanno che nell’ideale equilibrio tra bellezza e solennità trovano la loro motivazione e la più perfetta armonia.
Splendida è la decorazione musiva dell’interno, in parte eseguita da maestri bizantini giunti direttamente da Costantinopoli, che, però, a differenza di quella, altrettanto ricca e apprezzata, del Duomo di Monreale, interessa solo l’area del presbiterio, ma che, come quella, ha il suo fondamento nell’immagine del Cristo Pantocratore, che, dall’alto dell’abside, mostra i suoi simbolici attributi e, con il suo messaggio di speranza, si fa, dinanzi alla platea del mondo, guida illuminata e consolatrice.
Dedicata al Santissimo Salvatore è la festa religiosa principale di Cefalù che si svolge ogni anno dal 2 al 10 agosto nel corso della quale i cefaludesi, come pure gli occasionali visitatori, non solo partecipano con sincera affezione alla consueta processione, che, il 6 agosto, si dispiega ossequiosa per le vie del comune, ma si ritrovano ad assistere a tradizionali cerimonie e a eventi spettacolari e d’intrattenimento unici nel loro genere.
Tra questi ultimi vogliamo segnalare la suggestiva ‘ntinna a mari, una gara entusiasmante curata e condotta dai pescatori, durante la quale la forza e l’abilità dell’uomo nell’affrontare le sfide della vita diventa il leitmotiv dell’intera competizione, il cui fine è quello di conquistare una bandiera legata all’estremità di un lungo e scivoloso tronco saldamente fissato alla banchina e posto sopra il livello del mare.

In occasione della festa in onore del Santissimo Salvatore i cefaludesi sono soliti, inoltre, gustare un piatto tipico della tradizione culinaria locale che, portato in questa sede dagli arabi, ha mantenuto inalterata nel tempo la sua autentica e originaria bontà.
Ci riferiamo alla cosiddetta “pasta a tianu”, il cui nome deriverebbe da quello della creta con cui veniva realizzato il recipiente di terracotta utilizzato per la sua cottura. E per sapere di preciso di cosa si tratta siamo andati a trovare Calogero nel suo ristorante, Il Carretto, dove in qualsiasi periodo dell’anno è sempre possibile assaporare questa squisita specialità.
Calogero ci ha spiegato che la particolarità di questo piatto sta nella disposizione degli ingredienti a strati e nell’impiego di diversi tipi di carne che vengono cucinati a lungo nel pomodoro fino a sfilacciarsi.

Ma dopo aver deliziato il nostro palato abbiamo deciso di soddisfare un altro tipo di fame, quella generata dalla nostra innata e profonda esigenza del bello.
Ci siamo, perciò, recati nel laboratorio di un noto e talentuoso artista, Roberto Giacchino, che con grande umiltà e trasporto ci ha parlato della sua predilezione per la scultura, per quella in legno in particolare, e di come ogni sua opera abbia la sua naturale origine nelle forme della natura. Roberto sceglie, infatti, personalmente la matrice lignea dei suoi lavori e sulla base della stessa, della sua conformazione e delle sue caratteristiche, asporta, poi, il materiale in eccesso, dando libero sfogo alla sua personale visione creatrice. Ed ecco che elementari frammenti di natura diventano volti sofferenti, corpi danzanti, strumenti aulici e nobilitanti. Alle volte alcuni di questi soggetti si presentano a capo chino, intimamente ripiegati su se stessi, un vero e proprio colpo d’occhio per noi, soprattutto perché scaturiti dall’estro di un artista gioviale come Roberto, il quale non esita a darci una spiegazione e ci induce a interpretarli come una presa di coscienza e un monito a non abbassare mai la testa.

Irriducibile affabulatore di storie vecchie e nuove, di gesta eroiche o esilaranti, di sentimenti romantici e allettanti, Salvatore Bianca si definisce, invece, un cuntastorie, un semplice, si fa per dire, interprete di testi altrui e qualche volta propri, che, sulle note dei suoi strumenti e senza cantare, ama esibirsi per quanti, bambini e adulti, hanno orecchie per ascoltare.
Salvatore Bianca è un cuntastorie d’altri tempi, generoso e appassionato, che del siciliano e dei siciliani ha sempre fatto la sua raison d’être, la materia prima della sua arte, della sua storia, della sua briosa essenza. Ma è soprattutto nel contatto con l’altro, con i suoi sogni e le sue speranze, con la realtà circostante, che Salvatore trae la sua forza e la sua soddisfazione, dando origine a nuovi sogni e a nuove realtà in quel moto perpetuo e perfetto che è la vita.

Passeggiando per le vie di Cefalù è ancora possibile incontrare diversi artigiani e tra questi abbiamo voluto ascoltare Rosario Macaluso, un calzolaio che, dopo una giovanile e istruttiva esperienza in Germania, è tornato nella sua Sicilia e ha dato vita alla sua attività che oggi, nonostante il generale attaccamento alla moda e il consumismo ingiustificato, porta avanti con devozione e precisione. Rosario ci ha parlato di come si svolge la sua giornata e ci ha mostrato alcuni dei suoi lavori, in particolare ci ha fatto vedere delle calzature ancora in fase di realizzazione e ci ha confidato che il suo sogno era in verità quello di produrre scarpe da lui stesso ideate e definite.

Vogliamo concludere questo articolo con la storia di Rosario Fertitta, un pescatore da tutta una vita, un Amante del mare sincero e assai premuroso, un autentico navigante che lontano dall’acqua non riesce a stare, non respira, diventa come quei pesci, che, intrappolati tra le sue reti, se non stai attento, “ti muzzicanu”.
Rosario ci racconta che nella sua barca lui lavora, mangia, pensa, si cura. È il mare la sua unica compagnia, è in quella immensità che lui si sente a casa, che si sente davvero se stesso, forse perché, come scriverebbe Giovanni Verga, ” il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole”

Si ringraziano per la gentile collaborazione i proprietari del ristorante Il Carretto, Roberto Giacchino, Salvatore Bianca, Rosario Macaluso e Rosario Fertitta.
Fotografie di Genny Ferro e Chris Catanese.

Genny Ferro

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